Intelligenza artificiale e pensiero

Intelligenza artificiale e pensiero umano: competizione o collaborazione?

L’intelligenza artificiale è un cambiamento epocale nel paradigma dell’essere umano. Le macchine che “pensano” sono una novità che dovremo imparare a conoscere, oltre che una grande opportunità, con un impatto sul mondo del lavoro estremamente rilevante: si stima che negli USA l’80% dei lavori sarà modificato in maniera considerevole a causa dell’IA.

Il dibattito è ovviamente molto vivo. Una platea ampissima di soggetti è incuriosita dalla novità, ma giustamente gli operatori si chiedono quali siano i benefici, i rischi e le implicazioni pratiche nonché filosofiche. 

L’intelligenza artificiale offre la possibilità di rendere maggiormente efficienti un’infinità di processi, in particolare quelli più facilmente automatizzabili. La capacità di processare una grande quantità di dati e informazioni può velocizzare l’iter e ridurre o azzerare il margine di errore. Vien da sé che gli ambiti in cui si può utilizzare sono numerosissimi. Fra questi, ad esempio, la cyber security.

Con l’IA, infatti, il numero di attacchi informatici è praticamente raddoppiato, da oltre 560 al secondo a livello globale a circa 1.290 al secondo (Fonte: RSA Conference 2023). La stessa intelligenza artificiale è però anche un’arma di difesa, perché le strategie basate su monitoraggio, rilevamento e risposta sono più evolute e, in particolare, è aumentata la capacità di anticipare gli eventi, automatizzando l’individuazione di eventuali comportamenti sospetti.

Per quanto l’applicazione pratica sia affascinante, un aspetto cruciale del dibattito riguarda l’interazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale. Dobbiamo infatti considerare che, come tutte le tecnologie, anche l’IA evolve a un ritmo molto più veloce rispetto ai tempi di adattamento dell’essere umano e il modo in cui ci rapportiamo a questo strumento richiede quindi un'attenta valutazione. 

Quale sarà l’equilibrio? Mi associo a quanti vedono l’intelligenza artificiale un supporto all’umano al fine di integrarne l’operato e aumentarne l’efficacia, piuttosto che un sostituto dell’intelligenza umana.

Dovremo studiarla, farci le giuste domande ed acquisire le competenze necessarie per avere un approccio attivo all’utilizzo di questa epocale novità e non essere dei semplici spettatori e utilizzatori passivi che delegano il pensiero a una macchina. Il modo di “pensare” di una IA è inevitabilmente meccanicistico e quindi limitato rispetto alla nostra capacità di comprendere il contesto e le sue sfumature.

Si tratta comunque di un’opportunità di conoscenza e un’occasione di riflessione uniche, innanzitutto a livello individuale, ma anche più in generale sul ruolo dell’essere umano nell’epoca contemporanea. Consapevoli che la nostra azione di indirizzo e controllo continuerà ad essere insostituibile. Perché, in fin dei conti, l’intelligenza artificiale non è poi così “intelligente” come sembra a un primo sguardo e, in ogni caso, non potrà esistere senza il pensiero e l’azione dell’uomo.

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Turisti in arrivo, trasporti a rilento.

Turisti in arrivo, trasporti a rilento. A che punto siamo?

Il turismo nel 2023 ha toccato picchi sorprendenti già nei primi mesi dell’anno, per poi arrivare a livelli ancor più elevati nei mesi estivi. Le previsioni stimano in circa 442 milioni i pernottamenti nell’intero 2023, il che vorrebbe dire un ritorno ai livelli pre-pandemia con addirittura un anno e mezzo di anticipo.

Una sorpresa senza dubbio positiva, ma alla luce anche delle notizie che spesso hanno messo in evidenza la carenza dei servizi a supporto del turista, viene da chiedersi fino a che punto le nostre infrastrutture e soprattutto il nostro sistema dei trasporti siano realmente pronti a far fronte a flussi turistici così importanti. 

Vediamo qualche dato: in Italia, nei primi quattro mesi del 2023 i turisti stranieri sono stati 12,7 milioni, facendo registrare un +42% rispetto al 2022 (dati Istat e Eurostat), mentre in Spagna e Francia, la crescita si è “fermata” al 25 e 23%. E, dopo una pandemia che ha radicalmente cambiato abitudini e approcci alla vita, ci sono tutti i presupposti per pensare che si tratti di un aumento strutturale e non di un semplice rimbalzo temporaneo. Infatti, le tendenze sociali dietro agli spostamenti, sembrano parlar chiaro: i giovani cercano di recuperare velocemente il tempo perduto, mentre i più anziani vogliono vivere più intensamente il tempo a venire. Tutti, nel complesso, vogliono godere del presente, consapevoli che ciò che oggi diamo per scontato potrebbe in realtà non esserlo più, come se si vivesse nell’incertezza causata da una costante “pandemia latente”.

I dati spingono quindi a riflettere, in particolare sulla nostra rete di trasporti: siamo pronti a ospitare così tanti turisti, di cui molti dall’estero? Guardando ad alcuni avvenimenti di cronaca, sembrerebbe di no: ad esempio, nelle città, non solo in quelle turistiche, si legge di servizi pubblici inefficienti e/o insufficienti, ma anche di strade bloccate in molte località di mare rinomate, come la Costiera Amalfitana. Carenze che risultano ancora più preoccupanti se consideriamo che oltre ai flussi turistici, il nostro sistema dei trasporti deve essere in grado di assorbire il traffico di chi si sposta per lavoro.

Il sistema di trasporti è composto da: 

  1. Mezzi, come aerei, treni, auto, navi
  2. Infrastrutture, come strade, stazioni, porti e aeroporti
  3. Società di gestione dei servizi di trasporto e delle infrastrutture 

Un sistema efficiente deve saper coordinare in un’architettura ottimale questi tre elementi, al fine di offrire il miglior servizio a turisti e lavoratori. Purtroppo, ad oggi, le nostre infrastrutture di trasporto presentano alcune falle che andrebbero colmate velocemente.

Come risolvere il problema? Da un lato il PNRR ha stanziato fondi che, almeno nel medio periodo, possono contribuire a dare una svolta sostanziale. Si tratta del Connecting Europe Facility, il programma che destina 400 milioni al miglioramento delle reti transeuropee dei trasporti. Un progetto che si muove nella giusta direzione ma che, da solo, non può risolvere del tutto il problema. Nel piano non sono infatti inclusi gli aeroporti e i tempi di adeguamento delle infrastrutture, per definizione medio-lunghi, sono incompatibili con una soluzione rapida. 

In situazioni come questa, vedo come via di uscita realizzabile in tempi brevi e con uno sforzo limitato, la valorizzazione di quella parte del patrimonio infrastrutturale che al momento è sottoutilizzata e che invece potrebbe essere un prezioso supporto se sfruttata a pieno. Mi riferisco in particolare alla fitta rete di aeroporti minori presenti sul territorio – ben 62 – spesso in zone del Paese poco servite dalla rete di trasporto principale. Si tratta di strutture di minore portata in termini quantitativi, ma già operative e con un potenziale ancora non utilizzato. 

 Si pensi nel concreto ai limiti logistici che attualmente si riscontrano in tante regioni d’Italia: il carente collegamento tra il nord e il centro e gli snodi ancora troppo trafficati come ad esempio Bologna; i collegamenti con la Francia, condizionati dal traffico della Liguria e dai limiti dei trafori; la scarsa capillarità della rete stradale e ferroviaria nel sud Italia e la mancanza di alcune tratte di volo, anche brevi, ma potenzialmente fondamentali per alleggerire il traffico via terra. Questi elementi oggettivi dimostrano quanto il problema sia reale e con esso il bisogno di una soluzione.

La consapevolezza che il sistema aeroportuale italiano non sia composto solo dai grandi hub può essere il punto di partenza. I benefici sono numerosi, non solo per il turismo, ma per l’economia nel suo complesso, grazie alla ricca rete di relazioni e di affari che le vie di comunicazione hanno da sempre creato. Le soluzioni ci sono e guardano tanto al breve quanto al medio-lungo periodo, ma l’urgenza è anzitutto utilizzare al meglio ciò che già abbiamo, anche per recuperare investimenti fatti in passato e farli fruttare al meglio, con un approccio sinergico che dia riscontri immediati.

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Una riflessione etica sulla finanza, fra rendimento, giustizia e verità

Una riflessione etica sulla finanza, fra rendimento, giustizia e verità

Fin troppo spesso la finanza è stata dipinta, o anche solo percepita, specialmente dai non addetti ai lavori, come un oscuro meccanismo speculativo, che da tempo ha abbandonato il suo ruolo di strumento al servizio dell’economia reale. 

In questo senso, non ha aiutato il repentino processo di globalizzazione e di integrazione tra sistemi finanziari ed economici che, negli ultimi decenni, ha condizionato e modificato drasticamente, “nel bene e nel male”, le condizioni di vita di ampie fasce di popolazione. L’affermazione di grandi economie emergenti, quali la Cina, l’India e il Brasile, ha messo in luce, modelli di sviluppo disomogenei, generatori di importanti disuguaglianze sociali. 

Mai come adesso, grazie al raggiungimento delle nuove frontiere della tecnologia digitale, tra robotica, intelligenza artificiale, big data, e automazione dei processi, si aprono spazi nuovi anche per la finanza, parte della quale, però, agisce protetta dall’ambiente “virtuale”, ancora poco trasparente e poco accessibile all’informazione. 

Di questo processo è un esempio emblematico il proliferare delle criptovalute come i bit-coin, veri e propri sistemi monetari digitali “a volte garantiti, a volte no”, usati sia come mezzo di scambio sia come investimento, in grado di definire una nuova realtà al servizio della finanza. Ma, a questo punto, mi chiedo come sia possibile conciliare le opportunità offerte dalla tecnologia a beneficio dei processi finanziari con i principi etici e morali a salvaguardia della persona.

In altre parole, quali sono i vantaggi da cogliere e i rischi da correre, affinché la finanza abbia un impatto più costruttivo sulla vita e sulla società? 

  

A questa domanda ha in parte risposto la Santa Sede qualche anno fa, esprimendo il suo parere attraverso il documento “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones”, dove si esplorano gli effetti delle attività economiche e finanziarie sulla vita dell’uomo e si offrono importanti considerazioni che promuovono il discernimento etico. 

“...infatti, la razionalità umana cerca nella verità e nella giustizia quel solido fondamento su cui appoggiare il suo operare, nel presentimento che senza di esso verrebbe meno anche il suo stesso orientamento.”
Cit. doc.

Il retaggio gesuita di Fordham sposa appieno gli spunti condivisi in questo documento, dai quali emerge l’esigenza imprescindibile che l’operato di un vero leader sia contraddistinto da un “sentito” discernimento illuminante.  

La mission è trasmettere ai propri studenti, futuri leader, che andranno a ricoprire cariche di rilievo in ambito finanziario, valori che orientino la ricerca del rendimento in modo socialmente responsabile, ovvero rivolgendo l’attenzione verso scopi etici. Questo significa abbandonare un atteggiamento puramente speculativo nella ricerca del profitto per individuare buone pratiche di investimento senza mai prescindere da una vera assunzione di responsabilità. La “finanza etica” non è solo un concetto filosofico-teorico difficilmente realizzabile, ma un obiettivo concreto verso il quale tutti dovrebbero tendere.

Condivido il messaggio della Dottrina sociale della Chiesa che fa riferimento all’etica della finanza, dove il termine “etica” è considerato un componente intrinseco del paradigma finanziario e non una appendice che ne definisca semplicemente una peculiarità. 

“…che l’etica appartiene alla finanza come qualcosa di suo e che nasce dal suo stesso interno. Essa non si aggiunge dopo, ma emana da un intimo bisogno della stessa finanza di perseguire i propri obiettivi, dato che anche quest’ultima è un’attività umana.
Cit. doc.

Anche se con tutte le difficoltà del caso, in Europa il vento della sensibilizzazione a favore di una finanza più etica sta già soffiando da tempo nella direzione giusta in molti modi, che vanno dall’esclusione di alcuni settori (come armi o pornografia, fonti energetiche non rinnovabili, aziende non sostenibili), fino alla selezione degli investimenti sulla base del rating di sostenibilità ESG dei singoli emittenti. Una novità interessante è la diffusione sul mercato di fondi che investono specificamente sulla base di principi cattolici, così come definiti dagli organismi episcopali, che considerano fra gli altri, i diritti politici e civili, la corruzione, la libertà politica in un determinato Paese. 

Giustizia, solidarietà, verità e inclusione, dovrebbero sempre rispecchiare l’operato della finanza; solo così, il progresso può veramente essere definito tale, fondato cioè su una collettività eticamente rispettosa della dignità umana.

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“Ego Vici Mundum”. Dalla Pasqua la vittoria dello spirito e delle azioni sulle avversità

“Ego Vici Mundum”. Dalla Pasqua la vittoria dello spirito e delle azioni sulle avversità

“Quando tutto sembra perduto, una voce invita a proseguire il cammino, a compiere dei passi, a elevare lo sguardo, ad avere fiducia”. Ego Vici Mundum letteralmente “Io ho vinto il mondo” è una citazione del vangelo scolpita su una delle volte della chiesa di S. Ignazio di Loyola a Roma ed un invito a discernere tra bene e male.

É da questa esortazione che voglio partire per fare una riflessione sul periodo pasquale.

Il significato letterale del termine Pasqua, che sia tradotto dal greco “pascha” o dall’aramaico “pasah”, indica in modo inequivocabile sempre lo stesso proposito: passare oltre. Che si commemori l’esodo del popolo di Israele verso la libertà descritto nel secondo libro del Vecchio Testamento, o la Risurrezione di Cristo che sconfigge la morte trattata nei Vangeli, è evidente che entrambi celebrino un particolare momento di transizione, da schiavitù, peccato e sofferenza alla completa redenzione.

Mai, come oggi, questo messaggio spirituale proveniente dal passato, attraverso più duemila anni di storia, afferma, con formidabile vigore la sua attualità.

Vivere con fede, cioè con la consapevolezza, che i mali che affliggono lo spirito dell’uomo si possano vincere, rappresenta già il primo passo per procedere nella giusta direzione.

È proprio questo il messaggio della Pasqua, un incitamento a scoprire una rinnovata convinzione nel nostro credo, dove fiducia e speranza promuovano, come l’estremo sacrificio di Cristo sulla croce, il nostro “passare oltre”.

Agli studenti di Gabelli School of Business e di Fordham University, vorrei rivolgere una esortazione speciale affinché il loro spirito giovane ed entusiasta, rivolto al futuro, si orienti, in questo periodo ricco di difficoltà ma anche di opportunità, al raggiungimento dei propri obiettivi con impegno e dedizione. Nonostante il susseguirsi di fasi critiche che condizionano severamente l’attuale andamento globale, con conflitti, crisi economiche, disastri ambientali e non solo, incoraggio le nuove generazioni ad operare le proprie scelte con un atteggiamento positivo.

È di fondamentale importanza che i giovani credano nel futuro, nella possibilità di cambiare le cose in meglio, adottando “un nuovo linguaggio” più universale, che favorisca la relazione e non la prevaricazione; che sia in grado di creare coesione tra gli uomini, senza erigere muri.

A tal proposito, voglio rammentare che il discernimento ignaziano, ci viene incontro proponendosi come strumento di straordinaria efficacia, in grado di farci operare scelte più adeguate sia in ambito personale che professionale.

Non facciamoci scoraggiare dalle avversità, la leadership è anche resilienza, quell’innata capacità “evoluzionistica” dell’uomo che gli permette di adattarsi alle avversità a cui spesso è sottoposto, senza arrendersi e senza fiaccare il suo spirito pionieristico. La società, nella quale stiamo vivendo, così sfidante, così complessa, ci vede testimoni di alcuni avvenimenti drammatici che coinvolgono inevitabilmente tutta la collettività.

In questa ricorrenza cristiana, il senso della parola “sacrificio” assume per me un significato particolare: l’impegno. Sono sicuro che determinazione, motivazione e senso di responsabilità delle generazioni future saranno in grado di costruire un equilibrio migliore, senza compromessi, ovvero senza abbassare la testa di fronte ai mali della vita, sicuri che la luce della speranza sarà sempre accesa.

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Waste To Energy

Waste To Energy. I rifiuti sono una nuova ricchezza?

Trasformare i rifiuti in opportunità: è possibile?

I rifiuti sono una risorsa per il presente e per il futuro, a dispetto di quanto si possa a prima vista pensare. Ne produciamo sempre di più, ne ricicliamo per fortuna sempre di più, ma sono ancora percepiti come uno scarto, anche se qualcosa sta cambiando. Secondo Eurostat, ogni cittadino europeo produce in media 505 chilogrammi di rifiuti in un anno, dato in crescita costante negli ultimi 25 anni. Di questi, viene riciclato solo il 30%. Ancora poco, soprattutto in un’epoca in cui si parla sempre più di economia circolare.

I rifiuti sono una ricchezza soprattutto perché le risorse, anche per la produzione di energia, sono sempre più scarse: basti pensare che l’Earth Overshoot Day nel 2022 è stato il 28 luglio. Questo significa che le risorse generate dal pianeta in 12 mesi vengono consumate in quasi la metà del tempo.   

Ci troviamo a dover portare a termine, nel più breve tempo possibile, un progetto ambizioso come la transizione energetica dove i criteri ESG giocano un ruolo di crescente importanza nelle scelte di investimento dei fondi e nella pianificazione delle aziende.

In questo contesto si inseriscono le tecnologie in grado di trasformare i rifiuti in energia. Nello specifico, il mercato energetico dei rifiuti è in grande crescita, con stime che vedono un incremento annuale del 7,4% dal 2020 fino al 2027 (dati Statista), arrivando così a toccare quota 54,8 miliardi di dollari a livello globale. I settori che possono beneficiare di questa innovazione sono ad esempio l’aviazione, la sanità ospedaliera ed anche l’ambito navale.

Infatti, dobbiamo tenere in considerazione che le energie rinnovabili sono ancora lontane dal coprire il fabbisogno energetico mondiale: ad oggi, solo il 13,47% della produzione mondiale di energie proviene da fonti rinnovabili (Statista).

La transizione richiede tempo e risorse, come per qualsiasi settore che si prefigge l’obiettivo di creare utilità e benefici a lungo termine. Inoltre, l’applicazione di queste tecnologie porterà anche benefici “a cascata” in maniera indiretta, come ad esempio il minor spazio per immagazzinare i rifiuti, elemento che nel trasporto navale può fare la differenza.

Il trend è ormai avviato e la mentalità con cui vengono concepiti i rifiuti sta cambiando velocemente: sempre meno come scarto, sempre più come ricchezza. È di sicuro una questione di consapevolezza, ma anche di conoscenze e capitali. Per un settore con un impatto così positivo sull’ambiente e sulla sostenibilità, la capacità di attrarre investitori sarà determinante, non solo per la nascita di nuove tecnologie atte allo scopo, ma anche per rendere impianti, strumenti e processi operativi sempre più scalabili e adatti agli utilizzi più diversi. 

Possiamo dire che l’energia ricavata dai rifiuti è una di quelle opportunità che, come talvolta accade, la si trova proprio dove meno ci si aspetta.

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Il Real Estate tra investimenti, innovazione, performance

Il Real Estate tra investimenti, innovazione, performance

L’immobiliare, come suggerisce il nome, è tipicamente un settore a velocità molto ridotta, perché progettare, costruire, ristrutturare una casa o anche solo portare a termine una semplice compravendita richiede tempo. Una lentezza che riguarda non solo l’aspetto meramente operativo legato alla realizzazione di un intervento edilizio, ma che riguarda anche tutto il mondo che ruota intorno agli immobili, in primis l’aspetto finanziario. 

Realizzare un intervento immobiliare, di qualunque tipo, di solito richiede capitali importanti, che vanno finanziati. Premessa per ogni operazione in ambito real estate, è infatti la definizione di un piano finanziario strutturato secondo schemi e modalità differenti, aventi una durata necessariamente pluriennale. Che si tratti di autofinanziamento in proprio, ricorso a fondi di investimento privati e forme di partenariato pubblico/privato, i tempi tecnici per avviare un’operazione e per avere dei ritorni sugli investimenti non sono trascurabili.

Una lentezza di sicuro in controtendenza con la velocità del mondo globale e che, magari anche solo in termini di percezione, mal si concilia anche con il passo di investitori importanti, come possono essere i fondi di private equity, in generale abituati a pensare e a muoversi sui mercati con estrema rapidità per cogliere le opportunità laddove si presentano. Anche in ambito immobiliare.    

Negli ultimi tempi vedo però che anche il settore del Real Estate sta vivendo un momento di grande fermento, cercando di cogliere il treno dell’innovazione sotto molteplici punti di vista. Stanno infatti prendendo piede non solo nuovi concetti di abitare e vivere, che si riflettono in edifici di nuova concezione e in nuovi modelli di business, come ad esempio la crescita di interesse per il mercato del Build to Rent, in contrapposizione al più tradizionale Build to Sell. Stiamo assistendo anche al rinnovamento dell’edilizia in ottica green e zero emissioni, che catalizzerà investimenti importanti nei prossimi anni a livello globale. E stiamo assistendo anche all’ingresso della tecnologia, sia a livello di servizi abitativi, sia a livello di filiera di mercato. 

Mi riferisco, in particolar modo, alla tecnologia blockchain che è pronta ad entrare nel mondo immobiliare e per il cui utilizzo stanno già nascendo realtà attive nel cosiddetto settore proptech. Dal momento che la blockchain permette di garantire la sicurezza delle transazioni, in ambito real estate potrebbe, ad esempio, migliorare il tracciamento dei processi finanziari, velocizzare di molto le compravendite e gli smart contract, cioè quei contratti la cui esecuzione diventa automatica al verificarsi di determinate condizioni pattuite. Sull’onda lunga della blockchain, stiamo assistendo anche al nuovo fenomeno di transazioni immobiliari che avvengono direttamente in criptovalute, istantaneamente e in totale sicurezza. 

Tutto lascia pensare che modalità sempre più veloci di gestire transazioni immobiliari o di semplificare processi complessi grazie alla tecnologia troveranno spazio nella nostra quotidianità, rendendo il settore più rapido, più sicuro, più trasparente e più scalabile. E quindi, più attrattivo per investitori alla ricerca di opportunità in ambito real estate e proptech. La stessa applicazione su larga scala di nuovi strumenti digitali richiederà un grande impegno di capitali per infrastrutture dedicate, sicurezza e competenze, aprendo a nuovi filoni di investimento. 

Mi chiedo se in futuro arriveremo a trattare gli edifici come una commodity.

Una riflessione decisamente acerba, ma anche molto suggestiva. I tempi di costruzione di edifici e infrastrutture, per ovvi motivi tecnici, non potranno essere più di tanto ridotti, ma per chi ha accantonato il settore per i suoi tempi lunghi, è forse arrivato il momento di ricredersi, perchè oggi il Real Estate può certamente offrire interessanti prospettive ed opportunità di innovazione.

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Van Gogh

Van Gogh e il “Buon Samaritano”: quando la compassione diventa solidarietà

Il “Buon Samaritano” è un dipinto che Van Gogh realizza nel 1890, anno della sua scomparsa. Un’opera che rientra nel bagaglio artistico sacro dell’artista olandese, dove è inequivocabile ed emozionante l’azione del buon samaritano che, con un gesto determinato, offre il suo aiuto ad un altro uomo in difficoltà, senza risparmiarsi.

In mezzo a una strada sterrata e ai campi arsi dal sole, la parabola della “compassione”, secondo il vangelo di Luca, prende vita. Un uomo con le maniche rimboccate, inarca la schiena aiutandosi con la gamba, solleva il pesante corpo del suo prossimo nel tentativo di trarlo in salvo sul cavallo, dopo una probabile disavventura. La reazione scomposta del bisognoso che con una fasciatura sul capo si aggrappa al suo salvatore, il notevole sforzo protratto da quest’ultimo, il tallone che sollevandosi si stacca dalla sua calzatura, sono solo alcuni dettagli su cui si focalizza l’attenzione dello spettatore, rendendo l’esperienza del proprio coinvolgimento emotivo sempre più profonda. 

Cosa vuole trasmettere questo dipinto? 

È un messaggio di vera compassione che emerge con una forza straordinaria: nasce dal pensiero e dà seguito ad una azione. Per aiutare il nostro prossimo, necessariamente, dobbiamo farci carico delle sue difficoltà e “indossare” - per così dire - il suo dolore, per comprenderlo realmente. 

Nella società attuale, che non ha mai tempo di fermarsi, la parola compassione rischia di suonare anacronistica, quando invece dovrebbe essere recuperata e riportata alla sua originale dignità.  Aprire il cuore alla compassione e non chiudersi nell’indifferenza, è l’esortazione che Papa Francesco rivolge assiduamente ai fedeli di tutto il mondo. Il suo messaggio, “restituire ci salva dall'indifferenza”, incoraggia a percorrere la via della “vera giustizia” abbandonando ogni forma di individualismo. Attenzione, però: una scelta compassionevole non deve limitarsi a concepire una semplice risposta emotiva a ciò che ci colpisce nel profondo in un certo momento, ma deve diventare scelta di metodo e di responsabilità. Secondo la teologia biblica, la compassione è l’elemento in base al quale Dio “vede” la sofferenza del popolo e si appresta a intervenire a suo favore (Esodo 2,23-25; 3,7). La compassione può assumere varie forme. 

Personalmente, credo molto nel valore dell’istruzione e, quindi, nell’offrire la possibilità a giovani promettenti, volenterosi ma privi di mezzi, di poter accedere a percorsi scolastici di qualità. Una formazione solida pone le basi per la crescita della società futura, rendendola più pronta ad affrontare i processi di cambiamento e di sviluppo che interessano le aziende, il mondo del lavoro, gli stili di vita e, soprattutto, l’uomo come anima della comunità. 

In linea con la mission di Fordham, che si ispira al pensiero gesuita, e nello specifico ai significati attribuiti alla parola “discernimento”, credo che essere compassionevoli significhi riconoscere l’altrui difficoltà per porvi rimedio in modo disinteressato, senza dare giudizi.

La relazione emotiva fra chi aiuta e chi ha bisogno non può che essere costruttiva, in quanto aiuta entrambi, favorendo un atteggiamento di speranza e convertendo allo stesso tempo i sentimenti in azione. Aiutare concretamente significa gettare un seme che darà sicuramente i suoi frutti in futuro.

 

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Dalla crisi energetica alla responsabilità condivisa: un passo possibile?

Dalla crisi energetica alla responsabilità condivisa: un passo possibile?

L’economia globale, già faticosamente in uscita dagli effetti della pandemia, si trova oggi a dover incassare un altro duro colpo da quello che potremmo definire il “conflitto dell’energia”, vera e propria guerra parallela a quella militare già in atto.

Una guerra nuova, che colpisce soprattutto l’Europa e che richiede decisioni rapide e allo stesso tempo lungimiranti. L’obiettivo è rendere gli stati membri sempre più autonomi nel reperimento e nella produzione di energia, gestendone il consumo in modo sempre più consapevole. Si consideri che la Russia è il nostro principale fornitore di energia derivata da combustibili fossili, quali: petrolio 29%, gas 43% e carbone 54%. Per l’UE, dunque, l’attuale conflitto è fonte di non poca preoccupazione.

Osservava Seneca duemila anni fa: “L'inaspettato rende più grave il peso delle sciagure, né c'è uomo che non si addolori maggiormente per una calamità che lo stupisce. Perciò niente ci deve giungere imprevisto. Dobbiamo preparare l'animo a tutto e pensare non a quello che accade normalmente, ma a quello che potrebbe accadere”.   

Nel nostro caso, vediamo come la mancanza di previsioni strategiche lungimiranti di mercato e di politica economica internazionale possa creare dipendenze troppo vincolanti, rendendo gli stati deboli di fronte a situazioni impreviste. Essere lungimiranti significa anche considerare che, almeno per quanto riguarda il gas, esistono alternative alla Russia, ma si trovano in Paesi soggetti a un certo rischio di instabilità politica e, quindi, non totalmente affidabili nel lungo periodo. Invece, per quanto riguarda l’energia elettrica, oggi le fonti rinnovabili coprono solo una piccolissima parte del fabbisogno effettivo. E’ chiaro che stiamo percorrendo una strada lunga, dove c’è ancora molto da fare.

L’Unione Europea sta correndo ai ripari con “Re Power EU”, un pacchetto di provvedimenti aventi lo scopo di accelerare la transizione energetica, stimolando investimenti infrastrutturali importanti e su vasta scala da parte degli Stati membri. Secondo Ursula von der Leyen, l’ambizioso obiettivo è quello di rendersi indipendenti, entro il 2027.

Le rinnovabili sono un valido strumento sul quale puntare in ottica futura, ma la produzione massiva di energia pulita (fotovoltaico, eolico, idrogeno ecc.), necessita di una rete infrastrutturale notevole che, per essere realizzata, richiederà tempo e risorse importanti. Come per ogni investimento infrastrutturale, mi aspetto che anche questi produrranno un effetto volano, strategicamente virtuoso, capace di coinvolgere una molteplicità di soggetti dal settore privato, portatori di competenze e di capitali.

La reale misura di questo coinvolgimento, che potrebbe anche allargarsi a settori non strettamente legati al comparto energetico, ma ad esso correlati, dipenderà dalle scelte dei governi e dei vari decisori coinvolti.

Oggi, nell’economia globale, vale il concetto del “siamo tutti responsabili”, a significare che tutti i leader a livello mondiale sono chiamati ad agire per un sano sviluppo futuro.

Tuttavia, le divisioni permangono e, purtroppo, le “posizioni distanti” tra Unione Europea e Stati Uniti d’America rispetto a quelle di Russia e Cina (tanto per fare un esempio), non facilitano il raggiungimento di strategie comuni verso le quali tendere.

È comunque auspicabile che la volontà di molti Stati di assumere un ruolo di ponte per ricucire strappi e divisioni, potrà costruire relazioni internazionali in grado di condividere una mission comune, magari proprio a partire dalla sicurezza energetica. Un approccio di questo tipo, sarebbe un passo importante per lasciare alle future generazioni un ambiente più in salute e un’economia più solida.

 

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La SPAC: veterana negli States, ancora debuttante in Europa?

Il Forum Ambrosetti da poco conclusosi a Cernobbio ha portato ancora una volta all’attenzione del pubblico internazionale i grandi temi del momento, dalla complessità dello scacchiere geopolitico e i timori di stagflazione economica, fino ai rischi e alle soluzioni per il futuro.

Sono convinto che, in un quadro mai così complicato come quello attuale, il ruolo degli investimenti rimarrà un punto fermo. La domanda è sempre la stessa: come stimolare, ma anche canalizzare in modo efficiente le risorse finanziarie verso attività economiche profittevoli?

A questo proposito, vorrei dedicare un breve approfondimento a uno strumento di investimento molto interessante, già da tempo attivo sul mercato americano, ma forse ancora in penombra su quello europeo. É la SPAC, acronimo di Special Purpose Acquisition Company. Si tratta di una modalità di investimento simile al classico Private Equity, ma molto più flessibile, che proprio per questo motivo, sta prendendo sempre più piede negli States.

Malgrado sia uno strumento presente già da qualche anno, il mercato europeo, si dimostra ancora tiepido rispetto a questa modalità di investimento. Non lo dicono solo i numeri, nettamente sottodimensionati in Italia e in Europa rispetto agli USA, ma anche l’attenzione data alle SPAC. Sebbene esistano dal 2005 e siano arrivate in Italia nel 2011, non sono mai state al centro del dibattito finanziario.

Difficile dire a cosa sia dovuta la freddezza verso le SPAC. É uno strumento che offre diversi vantaggi, a fronte dei rischi tipici di ogni investimento in realtà ad alto potenziale di crescita e a forte asimmetria informativa. Va detto che gli unici elementi in grado di determinare il grado di rischio dell’operazione intrapresa tramite la SPAC, sono, da un lato le competenze dei promotori dell’investimento, dall’altro, la solidità del legame di fiducia nei confronti dei soci promotori, chiamati ad essere figure credibili e responsabili, soprattutto nella scelta della società target. Non a caso, spesso, il promotore è un singolo professionista dotato di grande esperienza e di un’ottima reputazione sul mercato.

La SPAC è un veicolo che ha l’obiettivo di aggregare investitori per realizzare investimenti in una o più società target. Il processo vede quattro passaggi: la costituzione della SPAC sulla base di un progetto proposto dal promotore (o dai promotori), la realizzazione dell’IPO per la raccolta dei capitali, la ricerca della società target e infine l’operazione vera e propria di investimento. L’ultimo passaggio potrebbe anche non avvenire, nel caso in cui non vi sia più il necessario consenso fra i soci o vi siano problemi con la società target. Ancora una volta vediamo come sia determinante affidarsi a figure autorevoli in questo ambito, capaci di operare in maniera oculata e il più possibile redditizia.

Forse, l’Europa e l’Italia non sono ancora pronte a fare questo salto, ma la strada è sicuramente quella già tracciata dagli Stati Uniti, in cui il 50% delle IPO riguarda le SPAC. Un dato decisamente grande che dimostra la portata potenziale del fenomeno anche per il Vecchio Continente.

Nel momento in cui ci troviamo, con una guerra alle porte dell’Europa, il prezzo delle materie prime energetiche praticamente fuori controllo e una crescita economica diventata un grande punto di domanda, la SPAC rappresenta una freccia un più che è bene non lasciare inutilizzata.

Ancora una volta, l’esperienza degli States ci può venire in aiuto e può essere di esempio per il contesto europeo, senza dimenticare però che sono sempre competenze e fiducia a fare la differenza. E la fiducia non può prescindere da una buona reputazione, sostanziata da azioni concrete.

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La-leadership-oggi-fra-stress-e-business

La leadership oggi fra stress e business

Gli accadimenti degli ultimi anni ci hanno dimostrato come il contesto sia diventato più complesso, mutevole e rischioso rispetto al passato. Credo che non si tratti solo di una percezione, ma sia un vero e proprio dato di fatto destinato a essere una costante negli anni a venire. Eventi come la pandemia e, a stretto giro, il conflitto “Russia-Ucraina”, hanno reso molto più difficile la gestione e la comprensione delle dinamiche di mercato, sistematicamente impattate da eventi di portata globale. 

Un contesto simile non può che portare ansia e stress in coloro che ogni giorno devono prendere decisioni in ambito professionale e aziendale, pregiudicandone la capacità di valutazione e la propensione ad agire consapevolmente. La nostra motivazione, l’energia che alimenta la volontà di confrontarsi con la vita, sia a livello personale che professionale, dipendono molto, infatti, dal nostro benessere psico-fisico.  Come può quindi un leader, proteggere se stesso e il suo team, evitando la “somatizzazione” di continui eventi improvvisi e preoccupanti? 

Chiaramente, non pretendo di offrire una soluzione in questo breve articolo, a maggior ragione considerando che l’ansia e gli effetti dello stress sono un argomento oggetto di studio e di ricerca da parte di esperti della scienza medica e della psicologia. Posso però fornire qualche spunto, sulla base del mio vissuto da uomo di business, avendo affrontato molte situazioni in cui ho dovuto raggiungere un obiettivo sotto forte pressione.

Una strategia che ritengo indispensabile per un leader è il saper promuovere e mantenere buoni rapporti all’interno del team di lavoro. Questo perché relazioni interpersonali positive riducono, anche di molto, gli effetti negativi dello stress che, a lungo andare, possono causare un vero e proprio logoramento.

Tuttavia, il successo di questa strategia dipende dalle competenze relazionali del leader, ovvero dalle sue abilità comunicative. In alcuni casi, queste abilità sono una predisposizione del singolo, in altri richiedono invece un’attività di apprendimento dedicato. Fiducia, disciplina, positività, creatività, capacità di comunicare attraverso una corretta gestione delle emozioni, sono tutti approcci dialoganti che favoriscono i rapporti interpersonali, migliorandone stabilità e durata. Le competenze richieste sono: empatia, abilità inclusiva di condividere, ascoltare e negoziare, capacità di gestire le persone ponendosi con loro nel modo più adeguato. Tutte queste hanno sicuramente ricadute benefiche sui rapporti sociali, in termini di miglioramento del lavoro di squadra, di armonia e di collaborazione. Non solo, ma in un ambiente sostenuto e motivato da una coinvolgente rete di relazioni, ogni singolo membro del team diventa protagonista e, con esso, il suo contributo al raggiungimento dell’obiettivo.   

Queste abilità hanno un potenziale importante che, se ben sfruttato, permette una crescita sensibile del livello qualitativo degli “ambienti professionali”, con significative ricadute sui risultati di business. Una connessione già ampiamente dimostrata dalla letteratura economica e scientifica. La qualità delle relazioni diventa, dunque, una risorsa strategica da utilizzare in ogni ambito - personale o professionale - dove tutti concorrono interagendo, ognuno con le proprie competenze, all’ottenimento dell’obiettivo comune. 

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