L’economia globale, già faticosamente in uscita dagli effetti della pandemia, si trova oggi a dover incassare un altro duro colpo da quello che potremmo definire il “conflitto dell’energia”, vera e propria guerra parallela a quella militare già in atto.

Una guerra nuova, che colpisce soprattutto l’Europa e che richiede decisioni rapide e allo stesso tempo lungimiranti. L’obiettivo è rendere gli stati membri sempre più autonomi nel reperimento e nella produzione di energia, gestendone il consumo in modo sempre più consapevole. Si consideri che la Russia è il nostro principale fornitore di energia derivata da combustibili fossili, quali: petrolio 29%, gas 43% e carbone 54%. Per l’UE, dunque, l’attuale conflitto è fonte di non poca preoccupazione.

Osservava Seneca duemila anni fa: “L’inaspettato rende più grave il peso delle sciagure, né c’è uomo che non si addolori maggiormente per una calamità che lo stupisce. Perciò niente ci deve giungere imprevisto. Dobbiamo preparare l’animo a tutto e pensare non a quello che accade normalmente, ma a quello che potrebbe accadere”.   

Nel nostro caso, vediamo come la mancanza di previsioni strategiche lungimiranti di mercato e di politica economica internazionale possa creare dipendenze troppo vincolanti, rendendo gli stati deboli di fronte a situazioni impreviste. Essere lungimiranti significa anche considerare che, almeno per quanto riguarda il gas, esistono alternative alla Russia, ma si trovano in Paesi soggetti a un certo rischio di instabilità politica e, quindi, non totalmente affidabili nel lungo periodo. Invece, per quanto riguarda l’energia elettrica, oggi le fonti rinnovabili coprono solo una piccolissima parte del fabbisogno effettivo. E’ chiaro che stiamo percorrendo una strada lunga, dove c’è ancora molto da fare.

L’Unione Europea sta correndo ai ripari con “Re Power EU”, un pacchetto di provvedimenti aventi lo scopo di accelerare la transizione energetica, stimolando investimenti infrastrutturali importanti e su vasta scala da parte degli Stati membri. Secondo Ursula von der Leyen, l’ambizioso obiettivo è quello di rendersi indipendenti, entro il 2027.

Le rinnovabili sono un valido strumento sul quale puntare in ottica futura, ma la produzione massiva di energia pulita (fotovoltaico, eolico, idrogeno ecc.), necessita di una rete infrastrutturale notevole che, per essere realizzata, richiederà tempo e risorse importanti. Come per ogni investimento infrastrutturale, mi aspetto che anche questi produrranno un effetto volano, strategicamente virtuoso, capace di coinvolgere una molteplicità di soggetti dal settore privato, portatori di competenze e di capitali.

La reale misura di questo coinvolgimento, che potrebbe anche allargarsi a settori non strettamente legati al comparto energetico, ma ad esso correlati, dipenderà dalle scelte dei governi e dei vari decisori coinvolti.

Oggi, nell’economia globale, vale il concetto del “siamo tutti responsabili”, a significare che tutti i leader a livello mondiale sono chiamati ad agire per un sano sviluppo futuro.

Tuttavia, le divisioni permangono e, purtroppo, le “posizioni distanti” tra Unione Europea e Stati Uniti d’America rispetto a quelle di Russia e Cina (tanto per fare un esempio), non facilitano il raggiungimento di strategie comuni verso le quali tendere.

È comunque auspicabile che la volontà di molti Stati di assumere un ruolo di ponte per ricucire strappi e divisioni, potrà costruire relazioni internazionali in grado di condividere una mission comune, magari proprio a partire dalla sicurezza energetica. Un approccio di questo tipo, sarebbe un passo importante per lasciare alle future generazioni un ambiente più in salute e un’economia più solida.

 

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