L’intelligenza artificiale è un cambiamento epocale nel paradigma dell’essere umano. Le macchine che “pensano” sono una novità che dovremo imparare a conoscere, oltre che una grande opportunità, con un impatto sul mondo del lavoro estremamente rilevante: si stima che negli USA l’80% dei lavori sarà modificato in maniera considerevole a causa dell’IA.

Il dibattito è ovviamente molto vivo. Una platea ampissima di soggetti è incuriosita dalla novità, ma giustamente gli operatori si chiedono quali siano i benefici, i rischi e le implicazioni pratiche nonché filosofiche. 

L’intelligenza artificiale offre la possibilità di rendere maggiormente efficienti un’infinità di processi, in particolare quelli più facilmente automatizzabili. La capacità di processare una grande quantità di dati e informazioni può velocizzare l’iter e ridurre o azzerare il margine di errore. Vien da sé che gli ambiti in cui si può utilizzare sono numerosissimi. Fra questi, ad esempio, la cyber security.

Con l’IA, infatti, il numero di attacchi informatici è praticamente raddoppiato, da oltre 560 al secondo a livello globale a circa 1.290 al secondo (Fonte: RSA Conference 2023). La stessa intelligenza artificiale è però anche un’arma di difesa, perché le strategie basate su monitoraggio, rilevamento e risposta sono più evolute e, in particolare, è aumentata la capacità di anticipare gli eventi, automatizzando l’individuazione di eventuali comportamenti sospetti.

Per quanto l’applicazione pratica sia affascinante, un aspetto cruciale del dibattito riguarda l’interazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale. Dobbiamo infatti considerare che, come tutte le tecnologie, anche l’IA evolve a un ritmo molto più veloce rispetto ai tempi di adattamento dell’essere umano e il modo in cui ci rapportiamo a questo strumento richiede quindi un’attenta valutazione. 

Quale sarà l’equilibrio? Mi associo a quanti vedono l’intelligenza artificiale un supporto all’umano al fine di integrarne l’operato e aumentarne l’efficacia, piuttosto che un sostituto dell’intelligenza umana.

Dovremo studiarla, farci le giuste domande ed acquisire le competenze necessarie per avere un approccio attivo all’utilizzo di questa epocale novità e non essere dei semplici spettatori e utilizzatori passivi che delegano il pensiero a una macchina. Il modo di “pensare” di una IA è inevitabilmente meccanicistico e quindi limitato rispetto alla nostra capacità di comprendere il contesto e le sue sfumature.

Si tratta comunque di un’opportunità di conoscenza e un’occasione di riflessione uniche, innanzitutto a livello individuale, ma anche più in generale sul ruolo dell’essere umano nell’epoca contemporanea. Consapevoli che la nostra azione di indirizzo e controllo continuerà ad essere insostituibile. Perché, in fin dei conti, l’intelligenza artificiale non è poi così “intelligente” come sembra a un primo sguardo e, in ogni caso, non potrà esistere senza il pensiero e l’azione dell’uomo.

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