Cina e Stati Uniti si contendono la leadership globale tra schermaglie politiche e dimostrazioni militari. La nuova “Via della Seta” rappresenta davvero una sfida all’egemonia americana? Secondo gli analisti, l’espansione cinese mirerebbe a estromettere gli Stati Uniti dalla regione Indo Pacifica, perché attraverso questo imponente progetto la Cina potrebbe raggiungere un obiettivo strategico ambizioso: diventare la potenza predominante del continente euroasiatico. Un progetto economico, ma anche geopolitico. Infatti, i capitali cinesi destinati ad alimentare il tracciato terrestre e marittimo di quest’opera imponente, non andranno a finanziare soltanto la costruzione di porti, oleodotti, autostrade e reti digitali, ma avranno anche un impatto politico, consolidando relazioni di lungo periodo e rafforzandone altre più recenti. Mi riferisco in particolare al nuovo dialogo avviato da Xi Jinping con i Paesi occidentali. Quello che si teme è la nascita di un nuovo centro di gravità euroasiatico come contrappeso dell’influenza degli USA in Asia. Ovviamente, è ancora troppo presto per fare valutazioni oggettive. Resta come dato di fatto il tentativo della Cina di sfidare il dominio di Washington, rafforzando il ruolo dello yuan, valuta concorrente al dollaro, e puntando anche sulla leadership tecnologica mondiale, in particolare nelle tecnologie di frontiera come i 5G e l’intelligenza artificiale. In quest’ultimo ambito, la Cina ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, se si considera che nel 2016 il paese asiatico è stato il secondo investitore mondiale in R&S, con una spesa di circa 280 miliardi di dollari, pari al 2,11% del Pil. Se invece si guarda al numero di brevetti, la Cina è quasi al livello degli Stati Uniti. E’ quindi facile intuire che il contenzioso sui dazi sia mosso principalmente dalla competizione per la leadership tecnologica mondiale.
L’obiettivo di Trump è perciò chiaro: ridimensionare il potere di Pechino prima che si affermi davvero come il nuovo baricentro politico ed economico del pianeta.
Da tempo gli Stati Uniti monitorano con attenzione le iniziative cinesi, grazie alle quali lo sfidante in rapida ascesa potrebbe erodere importanti spazi di influenza anche a un colosso già affermato come l’America. Così, nel 2018 è iniziata la controffensiva politica e commerciale da parte degli Stati Uniti, con lo scopo di limitare la crescita della Cina. La velocità delle azioni sembra essere un fattore determinante e, per stringere il più possibile i tempi, la strategia USA punta anche a coinvolgere i suoi più stretti alleati. In tal senso, è esemplare la richiesta di boicottare una multinazionale come Huawei. Da qui ne è nata una sorprendente campagna di sensibilizzazione, – così è stata definita – per convincere i big delle telecomunicazioni dei Paesi amici a non usare le apparecchiature Huawei, accusate di esporre a rischi di cyberspionaggio. Addirittura, sarebbe stata valutata anche l’ipotesi di aumentare i finanziamenti per lo sviluppo delle telecomunicazioni in Paesi che eviteranno in futuro le apparecchiature prodotte in Cina. In questo quadro si inseriscono Giappone e Australia, che sono fra i principali alleati americani e anche i più vicini, geograficamente ed economicamente, alla Cina. Proprio l’Australia subisce già le interferenze dell’espansione della forza, anche militare, di Pechino in tutto il Pacifico. Come conseguenza, il governo australiano ha cominciato a limitare gli investimenti cinesi sul proprio territorio, anche disponendo divieti specifici per motivi di sicurezza. Si veda, in tal senso, il divieto imposto a Huawei di realizzare la rete 5G nel Paese. Sulla stessa lunghezza d’onda il Regno Unito, storico alleato degli USA, che ha recentemente sostituito il Ministro della Difesa, Gavin Williamson, accusato di intrattenere relazioni sospette con la multinazionale cinese, alla quale fra l’altro si ritiene volesse affidare l’implementazione della rete 5G del Paese.
Tuttavia, la guerra dei dazi potrebbe nascondere qualcos’altro. Abbiamo visto come i dazi imposti per colpire le esportazioni del mercato cinese siano stati senza dubbio il primo passo della guerra commerciale fra Washington e Pechino. Una guerra senza esclusione di colpi, dietro la quale si gioca la sfida fra le due super-potenze per la supremazia nel settore delle tecnologie avanzate. Un mercato che, secondo gli esperti, influenzerà significativamente l’economia mondiale nei prossimi decenni. Connessioni sempre più veloci e un’intelligenza artificiale sempre più evoluta e sempre più in grado di sostituirsi all’uomo, rivoluzioneranno non solo i sistemi economici mondiali, ma anche gli armamenti. Un settore in fermento, dove il progresso per integrare carri armati, sottomarini e droni già dotati di Intelligenza Artificiale sta facendo passi enormi. Molti governi potrebbero certamente essere interessati a dotarsi di applicazioni tecnologiche di questo tipo. Non è infatti un mistero che gli Usa vogliano investire nel miglioramento del proprio sistema di combattimento. Appare quindi evidente come il controllo delle tecnologie e il loro sviluppo sarà determinante per spostare gli equilibri strategici a favore dell’uno o dell’altro dei contendenti.
A questo punto, è chiaro come la tregua iniziata durante il G20 sia stata un fuoco di paglia. Infatti, dopo l’incontro di Buenos Aires durante il G20, Donald Trump sembra aver ripreso una competizione serrata, con l’obiettivo esplicito di bloccare il più possibile il gigante asiatico in una gara senza esclusione di colpi. Compreso il recente riavvicinamento alla Corea del Nord con la distensione dei rapporti fra Trump e il leader nordcoreano Kim Jong Un.
Tutto converge verso la lettura di una più ampia e articolata strategia di contenimento messa in atto dagli Stati Uniti contro la Cina, composta da diversi tasselli, in cui non mancano le azioni di contrasto diretto e le provocazioni, come il tentativo di Trump di attrarre nel proprio campo di influenza la Corea del Nord, notoriamente legata a doppio filo alla Cina, suo unico legame con il resto del mondo.